Fabio Funky, artista “totale” dai graffiti ai tatuaggi: «Da bambino il disegno era il mio sfogo»

Fabio FunkySopra, Fabio Funky al lavoro. Ha avuto uno studio in città, il “Black Marlin”

L’artista segratese Fabio Anelli oggi è un affermato tatuatore, dopo un lungo “viaggio” tra le arti visive tra writing, calligrafia, fotografia e video making

Nasce come writer e ha una passione per lettering e calligrafia. Si occupa poi di fotografia e video making, approdando infine al mondo dei tatuaggi. È un esperto di arti visive a tutto tondo Fabio Anelli, in arte Fabio Funky. Classe ‘89, di Rovagnasco, è probabilmente il miglior writer segratese della sua generazione e in vent’anni di attività ha lasciato diverse… tracce anche a Segrate: è sua l’insegna del “Caffè La piazzetta” del Villaggio Ambrosiano, per citarne una, e per tre anni il suo studio di tatuaggi, “Black Marlin”,  è stato aperto in via Cassanese. Lo abbiamo incontrato nel nostro “viaggio” tra gli artisti segratesi, iniziato lo scorso numero del Giornale di Segrate con l’intervista al batterista Riccardo Ierardi. 

Come è nata la tua passione per il disegno?

«Già da bambino a scuola mi piaceva disegnare e quasi subito mi accorsi che disegnavo meglio degli altri. Era il mio sfogo, la facevo perché mi divertiva e mi rilassava». 

Come hai portato avanti questo talento?

«Purtroppo o per fortuna non ho avuto un percorso tradizionale perché ho fatto tutt’altri studi alle superiori. Ci sono nozioni del disegno di base che effettivamente mi sono mancate… ma ho ricopiato tantissimo, a partire dai fumetti giapponesi e americani. Il grosso salto per me è stato da adolescente, avevo 12 anni, con i graffiti. È da lì che è iniziata le vera ricerca dello stile». 

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Hai sempre sfruttato al massimo la tecnologia, sei stato tra i primi a utilizzare in modo creativo il fotoritocco.

«Le foto per me sono collegate ai graffiti, dai graffiti è nata questa mia passione; dallo sforzo di cercare di fare una foto accattivante e non solo. Le foto sono un mezzo potente per esprimere la propria arte e mi hanno dato la possibilità di sperimentare molto con tecniche miste». 

Quali consideri i tuoi più grandi successi?

«Mi è capitato di essere stato invitato a tatuare a Parigi… ho conosciuto gente capace e voglio continuare su questa strada, crescere con nuovi stimoli senza fermarmi ai successi. Ogni mia opera la considero quasi incompleta; penso che la successiva sarà sempre meglio della precedente, ci spero».  

«La gavetta per diventare tatuatore è durissima, il tatuaggio è qualcosa che lasci sulle pelle delle persone, lo fai tu, ma lo portano gli altri»

Dopo questo “viaggio” nelle arti visive sei diventato tatuatore. Cosa ti ha spinto ad approfondire questo mezzo espressivo?

«Mi sono avvicinato casualmente e quando ho capito la potenza del mezzo mi sono innamorato. La gavetta è durissima. L’approccio è difficile, perché il tatuaggio è qualcosa che lasci sulla pelle delle persone. Lo fai tu, ma lo portano gli altri. Sono dinamiche nuove e particolari per un artista».

Che idea hai dell’arte, qual è la tua estetica? 

«Sono attratto dalla violenza dell’arte più che dal minimalismo… ma sto cercando ora di fondere le due cose, una violenza più “minimal”. Degli altri, mi piace quando qualcuno incontra questo ideale di bellezza. Qualcosa con un impatto visivo forte, con forme e colori estremi».

Il rapporto con gli altri artisti. Come ti ci trovi?

«Ogni artista agisce in modi differenti. Per esperienza posso dire che nel mondo dei graffiti dove l’anonimato è importante si incontrano personaggi totalmente diversi rispetto al mondo dei tatuaggi dove ci sono molte “prime donne”». 

Un proposito, invece…

«Ritornare a fare dei bei murales con gli amici». 

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