Intervista al musicista Riccardo Ierardi, che ha suonato sui palchi più prestigiosi in Italia e negli Stati Uniti.
Segrate secondo il Sole24Ore è uno dei Comuni più istruiti di Italia, ma è anche una città ricca di artisti, indipendentemente dal loro… titolo di studio. E infatti, volendo presentarli ai nostri lettori in uno spazio ad hoc sul giornale, non abbiamo faticato a trovarli. Il primo “ospite” è un volto conosciuto in città: si tratta di Riccardo Ierardi, segratese doc, classe ‘93, batterista che ha calcato i palchi più prestigiosi in Italia, nel Regno Unito e negli Stati Uniti. Che a Segrate molti ricorderanno come membro dei “Poco di Buono”, progetto che per ora è soltanto in pausa e che non ha finito di regalare sorprese.
Tuo padre Sergio, indimenticato componente degli “Alt@Moda”, era a sua volta un batterista. Questo ha influito nella scelta del percorso che hai intrapreso?
«Senz’altro. Ho iniziato da autodidatta ereditando la passione di mio padre, che però non mi ha mai forzato… avevo 7 anni e quando lo vedevo suonare sentivo che volevo fare lo stesso. La cosa pazzesca è che mi riuscivano delle cose notevoli per l’età, anche se non ero pienamente cosciente di quello che stessi facendo. È sempre stato al mio fianco. È lui ad avermi spinto a mettermi a studiare seriamente questo strumento».
Lo studio, appunto… chi sono stati i tuoi maestri?
«Ho fatto un percorso di studi privato con il maestro Giancarlo Bondioli di Milano, poi mi iscrissi al Liceo Besta, indirizzo scienze sociali… ma già in terza superiore lasciai gli studi e mi trasferii a Londra per frequentare un corso di percussioni moderne. Una volta entrato in quella prestigiosa scuola mi si aprì un mondo… è un percorso paragonabile al conservatorio italiano, ma ai tempi al Verdi di Milano si teneva solo il corso di percussioni classiche. Studiavo batteria dalle 9 alle 10 ore al giorno».
Quali sono state le prime esperienze sul palco?
«Dopo la scuola è iniziata la gavetta. Ancora minorenne entrai a far parte di una band colombiana che faceva “trip hop”. Con loro abbiamo partecipato a festival enormi, aprendo addirittura per artisti del calibro dei “Massive Attack”»
Hai suonato per Ruggeri, Toto Cutugno, con “Tredici Pietro”, il figlio di Gianni Morandi, insegni percussioni al Sanfex Studio di San Felice… quale di queste attività ti dà più emozioni e soddisfazioni?
«La cosa che fa senz’altro più piacere è collaborare con grandi artisti. Il risultato più prestigioso che ho raggiunto, invece, è essere “ambasciatore” dei piatti di Paiste, uno dei produttori più importanti. Sono entrato a far parte del loro entourage e in questa veste mi hanno portato a suonare a Los Angeles al “Namm Show” un festival annuale che è anche la fiera di strumenti musicali più grande al mondo. Sono già tre anni che partecipo e grazie a questo canale con il mio trio “North of Somewhere” ogni anno riusciamo a fare una tournée negli Stati Uniti attraversando la West Coast. Suonare negli Stati Uniti era uno dei miei grandi obiettivi, se non il più grande.
Che consiglio ti senti di dare a giovani artisti e musicisti?
«Ogni artista deve avere la sua cifra, il suo timbro… serve prendere spunti e riferimenti, ma è fondamentale avere il proprio stile. Il mio consiglio è di crederci sempre, di non mollare di fronte alle difficoltà e di essere persone corrette. Alla lunga paga».
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