A 8 anni Greta Onnis è stata colpita da un cancro e col suo racconto vuole aiutare chi affronta la battaglia. Il volume è stato presentato al “Biba Bar” di Redecesio.
“Vita via est”, la vita così com’è. Tre parole che raccontano tutto: l’inciampo, il percorso di risalita, l’accettazione, la vittoria. Una frase che Greta Onnis ha voluto scriversi addosso, con quel tatuaggio che ha sul braccio e che ora è la copertina del suo libro, “È solo un momento”. La storia della sua battaglia contro quel male apparso di colpo quando di anni ne aveva pochi, appena 8. La storia di una bimba costretta a crescere in fretta, a smarrire l’infanzia senza preavviso, a combattere con un coraggio che la sua timidezza sembrava escludere.
E adesso quell’insicurezza che fine ha fatto?
«C’è ancora, io resto Greta. Ma sicuramente il mio percorso mi ha cambiato, mi ha dato una prospettiva diversa: vedo il lato positivo delle cose, il bicchiere mezzo pieno, valutando le cose che mi accadono faccio i conti con quel periodo e questo mi consente di affrontarle senza drammi e senza paura».
Torniamo un attimo a quella frase, “vita via est”, che nel tuo disegno è la coda di un aquilone.
«Sì, lì ci sono svariati simboli, dalle impronte del mio cane Tobia al mio cappellino con le farfalle. L’aquilone per me vuol dire libertà, da quando ne ho visto uno da vicino mentre rientravamo da una gita al mare durante il periodo delle cure».
E Tobia che ruolo ha avuto?
«è stato uno sprone, un pensiero diverso, una priorità che ha sostituito quelle legate alla malattia. Mi ha scelto lui ed è stato davvero un compagno di viaggio».
«Tutti noi pensiamo di avere dei limiti, ma abbiamo una forza che li cancella. Il mio futuro? l’idea è di frequentare ostetricia»
È stato un percorso difficile, ma nel libro scrivi che sarebbe stato peggio viverlo da parente di un malato.
«Se non avessi avuto la mia famiglia accanto non so cosa sarei riuscita a fare, molte cose le ho affrontate per loro. Per questo paradossalmente credo che sarebbe stato più difficile se fosse capitato a qualcuno di loro: da esterno ti senti impotente, se il paziente sei tu invece puoi rassicurare gli altri».
L’Istituto dei Tumori ti ha lasciato tanti legami, amicizie che restano.
«Ci sono tornata giusto ieri e quando varco quella porta mi sento a casa, non solo e non tanto perché purtroppo conosco bene quel posto ma per le persone che trovo: medici e infermiere in primis. Una di loro si è trasferita in Spagna, ma ancora ci sentiamo; un’altra è in Sicilia e questo inverno siamo andati a trovarla. E poi c’è Progetto Giovani».
Di cosa si tratta?
«È un gruppo creato dal dottor Ferrari già nel 2011, ma dedicato ai pazienti adolescenti. Io lo frequento dal dicembre del 2022, in quel contesto ci sentiamo compresi al 100%, siamo pronti a sostenerci l’un l’altro. L’obiettivo dei tanti progetti ai quali lavoriamo (uno degli ultimi è un brano musicale composto dai ragazzi, con tanto di videoclip, ndr) è quello di dare una prospettiva di futuro diversa a chi sta facendo i conti con la malattia, un futuro che non sia necessariamente focalizzato sulle terapie».
A proposito di futuro. Il tuo come lo vedi?
«Sto frequentando l’ultimo anno di Liceo delle Scienze umane, poi l’idea è quella di fare Ostetricia».
Una scelta che ha a che vedere con quello che hai vissuto?
«Forse sì. Da quando sono entrata in ospedale la medicina mi ha affascinato, ricordo che a casa avevo usato delle cannucce per costruire una flebo che utilizzavo per le bambole. Non so se fosse un modo per esorcizzare il tutto».
Cosa ti ha lasciato la tua lotta contro il tumore?
«Tutti pensiamo di avere dei limiti, ma in realtà possediamo una forza che neppure immaginiamo. Mi ha lasciato questa consapevolezza e tanta voglia di vivere, di fare quelle esperienze che durante quegli anni mi sono state precluse».
Ma si supera mai del tutto?
«È difficile capire di essere guariti, non identificarsi più con la malattia. Ma pensare che… “è solo un momento” aiuta, questo libro ha l’obiettivo di dimostrarlo».
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