Foibe, esilio e quella strage a Vergarolla. Piero Tarticchio: «Nessuno la ricorda»

Piero Tarticchio, scrittore istriano, al parco pubblico "Martiri delle foibe" di Segrate

L’eco è dirompente, rimbomba ancora tra i picchi e le voragini di un’umanità caduta, precipitata laggiù in fondo a quei crepacci. Come ogni anno Segrate ricorda, riascolta quell’eco che arriva dalle foibe e riempie tutta l’aria e la svuota insieme. Sempre in via Grandi, davanti al monumento che accoglie chi varca il cancello di quel giardino, mercoledì 10 gennaio si è svolta la commemorazione delle vittime di quella follia, di chi non ha fatto neppure in tempo a essere un esule in fuga dall’Istria e dalla Dalmazia inseguito dall’odio, perché quello stesso odio l’aveva già trovato, colpito, finito. La pandemia ha ristretto il campo, ha vietato un ricordo collettivo in presenza; sotto un tendone piazzato lì per riparare i presenti dalla pioggia battente c’era il sindaco Micheli, accanto all’esule e memoria viva di quel tempo Piero Tarticchio. Il primo cittadino segratese ha ricordato quel dramma, le vite perse e quelle scansate a forza, brutalmente cacciate, quegli italiani «accolti duramente, con freddezza, addirittura con ostilità, considerati avversari politici».

Tarticchio ha voluto accendere i fari su un evento in particolare, la strage di Vergarolla. «Era il 18 agosto 1946 – ha ricordato durante il suo discorso – al trattato di pace mancavano giusto sei mesi, ma il destino di quelle terre e di noi italiani d’Istria era segnato. Sul limitare del porto di Pola si erano organizzate manifestazioni per sensibilizzare gli Alleati sulla nostra italianità, gare di canottaggio e altro. Dovevano iniziare alle 14 di quella domenica, ma un quarto d’ora prima ci fu una deflagrazione di materiale bellico, circa nove tonnellate di mine di profondità. I vetri delle finestre di Pola andarono in frantumi e 110 polesani persero la vita. Tra quei morti c’erano anche due miei compagni di scuola, avevano la mia età, 10 anni. Dovevo partecipare anch’io a quell’evento, ma non andò così per un caso, sono salvo per miracolo; quando si parla di “sliding doors”, ecco… la mia fu quella, quel giorno. Quello che voglio sottolineare è che quella strage non viene mai ricordata, è stato l’attentato con più vittime della nostra storia e l’Italia non lo ricorda. Arrivai poco dopo, ricordo il mare rosso sangue e quei gabbiani che banchettavano sui resti di quei corpi». Un ricordo struggente di un momento cruciale, di quello che Tarticchio considera un messaggio macabro che Tito mandò agli italiani d’Istria.

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