Militello di Striscia la Notizia: “La mia vita… senza smartphone”

È uno dei volti di Striscia la Notizia, colui che tutti i lunedì ci fa ridere mostrandoci gli striscioni più divertenti apparsi negli stadi e dando voce ai tifosi più improbabili. È anche una voce di Radio 101, quella che con ironia ci accompagna la mattina al lavoro con la Banda di R101. È Cristiano Militello, pisano doc, ma da qualche anno segratese d’adozione. Per lavoro, ma anche per amore della nostra città, che ha scelto come “casa” per la sua famiglia.

Da quanto abiti a Milano2? 

Come pendolare dal 2004, in pianta stabile dal 2006.

Perché hai scelto di vivere qui? 

Nel 2004 iniziai la mia collaborazione con Striscia la notizia, i cui uffici e studi si trovavano davanti al laghetto di Milano2. Dovendo già fare 420 km per venire qui e altrettanti per tornare in Toscana, decisi subito di alloggiare il più vicino possibile al lavoro per non utilizzare ulteriormente  l’auto. Oltretutto Milano2 era strategica anche rispetto a R101 – l’emittente dove tuttora lavoro – che si trovava a Lambrate. Nonostante adesso Striscia sia stata trasferita Cologno e la radio sia stata postata in pieno centro, da Milano due non mi sono mosso.

Cosa apprezzi di questo quartiere? 

All’inizio era solo una questione strategica; col tempo ne ho potuto apprezzare la facilità di parcheggio, il tanto verde, la tranquillità, la viabilità a misura di bambino, la vicinanza a Milano, a Linate e alla tangenziale.

Cosa invece cambieresti o miglioreresti di Milano2? A noi toscani, cresciuti con la Storia nei muri, manca la piazza. Una piazza intesa come centro pulsante del borgo o del quartiere, come luogo identitario e di aggregazione. Del resto stiamo parlando di un quartiere che ha poco più di 40 anni, non si può pretendere tutto.

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Sei indubbiamente riconosciuto oggi per la tua rubrica su Striscia, ma sei anche conduttore radiofonico, scrittore, attore teatrale e cinematografico, cabarettista di tante serate in giro per l’Italia, quale identità senti più tua?

Io credo che tutti questi ruoli – sommati – contribuiscano a formare la mia identità di artista. L’Italia è già un paese dove si tende a “incasellare” il talento: se uno emerge in un ruolo poi dev’essere costretto a fare quello per sempre. Certo se mi chiedi cosa mi piace fare di più rispondo il teatro. E’ stato il primo amore ed ha una magia che gli altri media non hanno. Ma per i motivi di cui sopra ti garantisco che anni fa ho faticato non poco a convincere gli esercenti teatrali della bontà del mio spettacolo. Si chiedevano che cosa avrei fatto da solo per due ore in scena. Il loro stupore era lo stesso del pubblico che, mosso da un mix di curiosità e simpatia, restava quasi allibito al termine della mia performance. Venivano a vedere un inviato che in tv si esprime in 5 minuti e assistevano ad una stand up comedy di due ore

Hai appena pubblicato il tuo libro “Cartelli d’Italia”, rispetto ai tuoi primi libri sugli striscioni calcistici qui compaiono anche scritte, insegne, annunci e tanto altro. Quale la chiave comune?

La curiosità. Il mio propellente è sempre stato quello, in tutto. Ho sempre osservato molto. Anche oggi che mi trovo circondato perlopiù da gente costantemente curva su un display luminoso. Certo, rispetto allo striscione qui il ventaglio comico si amplia: si va dal lampo di genio di avvisi strampalati e scritte folgoranti su un muro fino agli sfondoni e ai refusi figli dell’ignoranza più crassa.

Se qualcuno volesse mandarti scritte o striscioni come può fare? 

Semplice, basta mandare una mail a gabibbo@mediaset.it

Cosa ti piace e cosa non ti piace di essere un “personaggio pubblico”?

Mi piace il fatto di essere benvoluto. Io non sono semplicemente popolare, io ricevo affetto e riconoscenza da parte di moltissima gente. Fare ridere, entrare nelle case altrui portando il buonumore è come essere impegnati nel sociale: poter alleviare le tristezze, i brutti pensieri, le fatiche di tante persone è oggettivamente impagabile.  La cosa che non mi piace è il ruolo che hanno assunto i social network, “sfogodromi” di troppa gente aggressiva e frustrata.

Ogni cosa, anche la dichiarazione o il post più banale rischia sempre di essere criticato, politicizzato, frainteso, figuriamoci le opinioni. I social sono il grande male del nostro tempo, sono esaltatori di solitudine, hanno tolto empatia ai giovani, rincretinito gli adulti, mangiato il tempo in cui gli adulti stanno coi propri figli. Essere un personaggio pubblico, in tale ambito, significa dover usare mille cautele per schivare polemiche sterili e haters. Molti mi prendono in giro perché non ho uno smartphone, faccio la figura dell’amish ma è una delle cose più sagge che potessi fare in vita mia.

Siamo al campetto Raimondo Vianello, l’hai conosciuto?

Lo conobbi in occasione della festa dei 20 anni di Striscia. Non chiedo quasi mai foto ai personaggi a meno che non abbia un vero e proprio debole per loro. Vianello è sempre stato un mito assoluto e un punto di riferimento per me e quindi mi feci sotto. Ricordo che nei giorni immediatamente precedenti l’evento morirono Nils Liedholm, Roberto Bortoluzzi ed Enzo Biagi, così quando gli chiesi uno scatto lui – col suo magistrale sense of humour – rispose: “sì bravo, fa bene ad approfittarne, non si sa mai…”.

Tu giochi a pallone?

Ho giocato  da giovane ma con risultati scarsi. Mi piaceva di più andare a vedere giocare gli altri e ho dato il meglio come tifoso che come calciatore. Ora gioco con mio figlio, vero e proprio malato di pallone: dopo due ore trascorse è capace di entrare in casa e di chiedermi di proseguire a giocare con la palla in gommapiuma in salotto.

Ti è capitato qualche episodio curioso qui a Milano2?

Una volta un signore mi fermò per dirmi: “lo sa che lei è il sosia di Militello di Striscia?”. Capii, proseguendo nella breve conversazione, che lui non prese mai nemmeno in considerazione l’idea che io potessi essere realmente Militello. Tanto più che io accreditai la sua tesi rispondendo: “eh sì me lo dicono tutti”. Non solo, per accomiatarsi, mi si avvicinò e mi disse: “mi dica la verità, non ne va troppo fiero…”, “in che senso scusi?”, “la capisco, sarebbe meglio essere il sosia di Raul Bova che di un pirla”. E se ne andò.

E così Cristiano ci saluta, nel modo a lui più congeniale: strappandoci una risata e rendendo davvero un po’ più leggera la nostra giornata.

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