È stato un giorno speciale ieri, domenica 19 aprile, per Andrea Boggio, segratese di 48 anni: dopo oltre un mese tra isolamento forzato e ricovero in ospedale, ha potuto finalmente riabbracciare la moglie Laura e la figlia Marianna. Un momento atteso, sperato per settimane mentre combatteva la sua lotta contro il Covid-19: un nome che abbiamo imparato a conoscere tutti e che qualcuno purtroppo ha conosciuto sulla propria pelle.
TUTTO È INIZIATO IL 17 MARZO
«Mi ricordo bene quando è cominciato tutto: era il 17 marzo e ho iniziato ad avere febbre e tosse – racconta Andrea – Mi ricordo la data perché purtroppo solo tre giorni dopo è morta mia madre e io non ho potuto nemmeno darle l’ultimo saluto… In quel periodo – ricorda, e c’è tristezza nella voce – andavo tutti i giorni in ospedale dove era ricoverata. Era in gravi condizioni, non legate al coronavirus… credo proprio di essermi infettato lì, all’ospedale. Da quel giorno sono stato costretto a stare a letto – continua – e per giorni la mia situazione non è cambiata. Ho sentito il medico di famiglia, regolarmente, ma continuava a dirmi di evitare di andare all’ospedale, che era meglio se io stessi a casa, a meno chele mie condizioni si fossero aggravate moltissimo, in termini di respirazione. Mi ha prescritto anche un antibiotico, ma non miglioravo. All’undicesimo giorno di febbre alta ho deciso di chiamare i soccorsi: stavo male e capivo che non stavo guarendo».
LA CHIAMATA AL 112 E IL RICOVERO AL SAN RAFFAELE
Venerdì 27 marzo la moglie Laura chiama l’ambulanza e Andrea viene portato all’Ospedale San Raffaele, a 200 metri da casa, visto che la famiglia Boggio abita in un palazzo di Milano2. «Appena sono arrivato al Pronto Soccorso ho avuto l’impressione di essere entrato in un meccanismo perfettamente organizzato, una vera macchina da guerra – ricorda Andrea. Erano i giorni di maggior numero di contagiati e quasi la totalità dei casi presenti erano Covid. Mi hanno immediatamente fatto tutti gli esami diagnostici del caso, tampone compreso, che in realtà è risultato negativo. Mi hanno però poi fatto una una TAC e hanno diagnosticato una polmonite bilaterale compatibile con infezione da coronavirus».
Dal Pronto Soccorso Andrea viene trasferito nel reparto Covid. «Ero in una stanza doppia con un altro paziente decisamente messo peggio di me – ricorda – Io tutto sommato respiravo bene, quindi non ho avuto bisogno di ventilazione artificiale o terapia intensiva, mi hanno somministrato un cocktail di farmaci che devo dire si sono subito dimostrati efficaci: in 5 giorni ero decisamente migliorato e sono stato dimesso».
«CURATO CON UN AMORE E UNA DEDIZIONE CHE NON DIMENTICHERÒ»
Non vuole parlarci della paura o della fatica di quei giorni: c’è altro che Andrea ha urgenza di raccontare: «Di quei giorni mi porterò sempre nel cuore la dedizione, la cura, direi proprio l’amore con cui sono stato trattato da tutti i sanitari. Rischiano la vita, c’è poco da dire – commenta con decisa ammirazione – e lo fanno con una dedizione davvero incredibile, commovente, non smetterò mai di ringraziarli».
L’ISOLAMENTO A CASA
Una volta a casa, ad Andrea viene detto di stare in isolamento due settimane: “Sì, e ogni giorno venivo contattato dalla Polizia Locale che si accertava che restassi a casa. Stavo nella mia stanza, con il mio bagno e non avevo contatti con i miei famigliari – racconta. Un periodo allungato poi di altri 5 giorni dal medico di base e poi finalmente ieri, dopo 32 giorni di separazione, ci siamo potuti riabbracciare. Ho perso 14 chili – commenta in conclusione Andrea – sono ancora molto debole, ma sto bene e sono grato alla vita, e soprattutto ai medici che mi hanno assistito, di poter raccontare questa avventura, per fortuna a lieto fine…”.
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