Cinquant’anni con la “michetta di Segrate” del Panificio Bramati

panificio bramatiNella foto, Egle Bramati. La famiglia Bramati ha rilevato il forno di via Grandi nel 1973

Importante traguardo per la storica bottega di via Grandi. «Tanti segratesi sono cresciuti con il nostro pane, per anni lo abbiamo portato nelle scuole», dice la titolare del Panificio Bramati, Egle Bramati

Mezzo secolo con… le mani in pasta. È un compleanno speciale quello del Panificio Bramati, che quest’anno festeggia i cinquant’anni di attività a Segrate e può vantare il titolo di forno più antico della città grazie a una storia iniziata con la famiglia Guffanti, che in centro aveva due rivendite.

«Era il 1973 quando i miei genitori, Luigi e Luigia, rilevarono quella di via Grandi», racconta Egle Bramati, che dopo essere cresciuta tra farine e lieviti ha raccolto il testimone da mamma e papà negli anni ‘90 ed è il volto della bottega mentre il laboratorio è il “regno” del marito Ulderico, che ogni mattina alle 2 dà il via a quella laboriosa magia notturna che trasforma gli ingredienti nel pane fresco che dà il buongiorno a clienti con il suo profumo.

«Papà Luigi aveva un forno industriale a Brugherio e abitavamo a Monza – ricorda Egle («L’origine del mio nome? È greco, mia mamma leggeva le riviste deve averlo scoperto da qualche vip dell’epoca…», sorride) – l’attività chiuse e decise di scommettere sul forno di Segrate con l’aiuto di mia mamma che si licenziò dalla Pirelli dove era operaia. Per un anno siamo venuti tutte le mattine in bicicletta da Monza, era l’anno della crisi petrolifera e le cambiali del resto erano tante… spesso mio padre dormiva qui nel laboratorio, poi ci siamo trasferiti a Segrate, dove viviamo da allora».

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Sono anni di grande lavoro, con mamma Luigia ed Egle in negozio e il signor Luigi a panificare con l’aiuto del figlio Marco, poi scomparso prematuramente nel 1984, a soli 21 anni, in seguito a un incidente automobilistico. «Pensi che era appena tornato da militare – dice Egle con la voce spezzata – è stato un enorme dolore per tutta la famiglia, l’attività andò avanti grazie al coinvolgimento di mio marito Ulderico, che faceva il tornitore di mestiere ma ha imparato a fare il pane da mio papà». Siamo negli anni ‘80, quando ancora il pane era davvero l’alimento quotidiano di tutti e il lavoro era tantissimo e ricco di soddisfazioni. «Una delle più grandi è stata fornire per tanti anni il pane alle scuole di Segrate, posso dire che generazioni di alunni hanno mangiato le nostre michette e hanno anche scoperto come si faceva il pane visitando il nostro forno… alcuni di loro sono diventati poi miei clienti, li ho visti crescere. Certo sono cambiate le regole, le procedure, però era una gioia portare le nostre michette ai bimbi segratesi».

Tanto lavoro, dicevamo, anche perché all’epoca il panificio Bramati serviva anche ristoranti e supermercati. «Sì, avevamo anche degli operai, si facevano anche più di cinque quintali al giorno di pane… ora le abitudini sono cambiate, soprattutto per le famiglie: un tempo erano più numerose e sulle tavole il pane non mancava mai, il pane comune, quello più semplice e a prezzo calmierato, lo vendevo a chili… oggi la vita è più frenetica e se il tempo per comprare il pane fresco non c’è e si prende tutto al supermercato», riflette Bramati.

Il piacere del pane fresco del fornaio non è però certo passato di moda. «La michetta e le ciabatte sono il nostro cavallo di battaglia, ho clienti che arrivano anche da fuori, da Milano o Cernusco, per comprarle – s’inorgoglisce la titolare del Panificio Bramati – un tempo si facevano pochi tipi di pane, ora sono molti di più. Noi facciamo anche le brioche, focacce e pizzette, da sempre e quest’anno per la prima volta stiamo provando con i panettoni. C’è poi un altro aspetto importante legato al nostro lavoro…». Prego. «Nelle botteghe c’è ancora quel rapporto umano con i clienti, lo scambio di battute quotidiano che si ripete da tanti anni. Per gli anziani, a volte, è anche un modo per sentirsi meno soli». E ora, arrivati a cinquant’anni? «E ora mani in pasta finché c’è la passione per questo lavoro, che è fatto di tanti sacrifici ma anche di tante soddisfazioni». 

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