L’autore del libro-biografia “Il gol è tutto” parla del suo rapporto con il calciatore, morto il 18 settembre
Occhi lucidi ovunque, con quei ricordi che si affollano dietro gli sguardi velati, con quel 1990 che fa capolino e ha il suo sguardo, i suoi occhi strabuzzati. Schillaci non c’è più e lascia nostalgia di notti magiche, perché quell’estate è una stagione che nelle vite di tutti ha un posto speciale. Anche nella vita del segratese Andrea Mercurio, lui che di Schillaci è stato il narratore, lui che ha firmato un’autobiografia del simbolo di Italia ‘90. Un incontro che ha dato il via a un rapporto mai svanito, fino all’ultimo.
«Siamo sempre rimasti in contatto – racconta Mercurio – negli ultimi messaggi mi scriveva “mi raccomando, preparati che dobbiamo andare in Giappone”. C’era il progetto di un docufilm su di lui da girare in quel Paese che lo adottò, purtroppo non siamo riusciti a portarlo a termine».
I ricordi di Mercurio sono più densi della media, sono quelli di una conoscenza vera che sapeva di amicizia, di vicinanza. D’altronde Totò Schillaci aveva un modo di porsi che non prevedeva distanze, men che meno piedistalli di sorta. «È difficile incontrare persone che non indossano maschere, che non hanno filtri – spiega lo scrittore segratese, protagonista anche in radio – Totò non mentiva, semplicemente perché non ne era capace, viveva quasi in uno stato primordiale. E ciò che manca di più è proprio quella naturalezza istintiva, la spontaneità, la gentilezza, la genuinità».
Ricorda gli aneddoti che Schillaci gli raccontò nei giorni in cui il libro “Il gol è tutto” prese forma. Anche lì ci sono tracce di una vita franca in tutto e per tutto. «Mi disse che nel 1989, quando non era ancora lo Schillaci del Mondiale, alla fine di una partita avrebbe voluto chiedere la maglia a Maradona, ma il pudore lo frenò – racconta Mercurio – fu poi Diego a chiamarlo, con quell’accento sudamericano, perché Totò gli regalasse la sua. Si sentì in imbarazzo, ma probabilmente Maradona aveva fiutato la natura di Schillaci, magari perché provenivano da contesti sociali simili».
E poi ci sono i ricordi di prima mano, quei momenti vissuti uno accanto all’altro durante le presentazioni di quel libro che li ha fatti incontrare. «A Segrate ci fu il pienone – sorride l’autore – mentre alla Sormani a Milano c’erano dieci persone. La dimostrazione che dove c’è più semplicità Totò è apprezzato». Schillaci si intrattenne anche con i componenti delle squadre del Campionato di Milano2 (foto sotto), posando con loro sul campo dedicato a Raimondo Vianello. Anche in quell’occasione, nessuna barriera e una disponibilità che è rimasta vivida nei ricordi di chi c’era. Il solito Totò, insomma, alla portata di tutti, pronto ad avvicinarsi al punto da uscire dal mito ed entrare nelle vite di chi quell’estate del 1990 ce l’aveva nel cuore.
E poi c’è chi gli è stato ancor più vicino. «Quello che mi resta è quel senso di familiarità: un eroe nazionale che a casa mia giocava con i miei figli e il cane, senza negarsi – spiega Mercurio – stava benissimo con me, c’era un rapporto istintivo che appartiene ai grandi umili».
L’ultimo periodo è stato un dolore crescente, perché a fronte di una fiducia che Schillaci ha coltivato fino in fondo, la conclusione si avvicinava senza nascondersi. «Era sereno, affrontava tutto con la sua semplicità, avendo accanto chi contava di più per lui, la sua famiglia – afferma Mercurio – e senza mettere da parte quelli che erano i suoi progetti». Compreso quel docufilm che non è riuscito a realizzare. Totò Schillaci da Palermo non c’è più, ma lascia tanto a tanti, anche qui a Segrate.
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