Tre anni fa, partecipando alla cerimonia che l’amministrazione comunale di Segrate celebra ogni anno per la ricorrenza del 25 Aprile, ho incontrato un mio coetaneo (siamo del 1933), nato e cresciuto in Sicilia, ma ora segratese, al quale chiesi: “Cosa ricordi tu del 25 aprile 1945?”. “Nulla – mi rispose – quel giorno per noi fu come gli altri. La Liberazione da noi in Sicilia avvenne il 10 luglio 1943 con lo sbarco delle truppe angloamericane!”. Sì, ha ragione il mio coetaneo, da quel 10 luglio 1943, e soprattutto dall’8 settembre dello stesso anno, l’Italia è stata divisa in due: al sud le truppe angloamericane che avanzavano lentamente; al nord una dura occupazione delle truppe naziste tedesche che durò sino al 25 Aprile 1945.
Ho riflettuto su questo fatto che mi ha portato a questa considerazione: sotto altre forme la divisione nord-sud dell’Italia esiste ancora. Stiamo vivendo in questi giorni la divisione causata dalla diversa aggressività della pandemia da coronavirus. Ma la divisione risale a tempi più remoti, la si può far risalire alla caduta dell’Impero Romano, al Regno di Sicilia del 1130, a quello Borbonico delle Due Sicilie durato sino al 1861. Da allora divenne nota la frase di Massimo d’Azeglio: “L’Italia è fatta, ora dobbiamo fare gli italiani ”.
È quindi necessario immedesimarsi nei diversi contesti storici vissuti al sud e al nord dell’Italia. Per rimanere nell’ambito della ricorrenza odierna al nord non è facile immedesimarsi nel contesto in cui hanno vissuto in meridione gli anni dalla metà del 1943 al 25 aprile 1945. Sul libro “Ricordi di famiglia” della segratese Gianna Distefano, nata in Sicilia, ho trovato scritto una cosa mai immaginata: “Il 10 luglio 1943 i soldati americani sbarcarono in località Punta Secca, la stoffa pregiata dei paracadutisti venne utilizzata per farne camicie, i lacci dei paracaduti sfilati per cucire calzini e scarpette”. In questa situazione, priva di governo, in Sicilia si visse per quasi due anni. Al nord c’erano altre situazioni che ai meridionali sarà altrettanto difficile comprendere: l’occupazione tedesca, spalleggiata dagli italiani che avevano aderito alla repubblica di Salò, comportava il rischio quotidiano di morire sotto i bombardamenti o di essere deportati in Germania per aver violato il coprifuoco ed essersi spinti al di là del Ticino a cercare un po’ di riso alla “borsa nera”.
Inutile fare il conto di chi allora ha sofferto di più, così come oggi è inutile contare chi ha più vittime causate dal virus. Sono necessarie invece la coesione e la collaborazione tra le Regioni, ma non solo. Ancor più necessaria è la collaborazione tra le Nazioni e saranno le nuove generazioni che la porteranno a compimento.
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