Giovanni Lodetti, la Segrate milanista piange il suo “Baslèta”

Giovanni LodettiL'intitolazione del Milan Club Segrate a Giovanni Lodetti, nel 2018

È morto il campione rossonero al quale è stato dedicato il Milan Club Segrate. L’intitolazione nel 2018 e i tanti incontri in città. Il presidente Bruno Ghidini: «Mi manca già, era sempre disponibile»

Si fa fatica a pensarlo altrove. Si fa fatica per quei suoi modi gentili, che lo facevano sentire vicino. Si fa fatica perché quel sorriso ti rimane dentro, perché Giuanin era uno che avvertivi un po’ tuo senza sentirti invadente. Si fa fatica, qui a Segrate, perché il tifo rossonero ha scelto Giovanni Lodetti come alfiere, un po’ come fece Rivera sul campo da calcio, e ora che non c’è più – è mancato lo scorso 22 settembre – manca già dannatamente.

Il Milan Club “Giovanni Lodetti” ricorda quell’eroe al quale si è legato nel 2018, quando il presidente Bruno Ghidini e tutto il direttivo hanno scelto il mitico “Baslèta” come rossonero del cuore. «È stata un’amicizia vera – confessa il numero uno del club cittadino – fatta di inviti a pranzo quasi mai rifiutati, di telefonate frequenti, di chiacchierate in dialetto».

L’intitolazione del Milan Club a Giovanni Lodetti nel 2018

Era il mese di dicembre di cinque anni fa, quando al “Circolino” di via Grandi ci fu la cerimonia di intitolazione del Milan Club al gregario di lusso, al calciatore dai piedi educati e dai polmoni infiniti, all’uomo dagli occhi buoni e profondi. Raccontò le sue storie, tante. Alcune già note, come quella di “Ceramica”, il suo soprannome sui campi del Parco di Trenno quando a gioventù già andata giocava in incognito con ragazzi ignari del suo cognome e del suo passato. Altre inedite, come quella del suo primo stipendio “pignorato” dal babbo senza giri di parole. Fu una giornata a tinte rossonere, con lui che si fece prossimo senza filtri.

Giovanni Lodetti

Qui sopra, il presidente del Milan Club, Bruno Ghidini, con Giovanni Lodetti

«Di fatto evitava i piedistalli – racconta Ghidini – era una persona semplice e quando lo conobbi sviluppò immediatamente una certa simpatia per me, tanto che a chiamare al telefono era quasi sempre lui. Mi ricorderò per sempre l’ultima volta che ci siamo sentiti, verso il 10 settembre, e quella frase con la quale si è congedato. “Uè, ciamam a mo”, chiamami ancora. Mi viene il magone». E il magone viene un po’ a tutti. A quelli che lo hanno incrociato quel giorno al “Circolino”, a quelli che se lo ricordano in campo a correre per Gianni, Rivera, anche se quel ruolo lì, il corridore, non gli ha mai reso giustizia. A quelli che lo hanno visto in tv, spesso e per anni, raccontare il calcio senza nostalgia ma con sagacia. A quelli che Lodetti era Giuanin e basta, uno di famiglia perché a lui andava bene così, cercava quel modo lì di stare al mondo, aperto e gioviale. Se n’è andato quasi all’improvviso, un venerdì qualunque, un giorno di vigilia per il popolo rossonero. Se n’è andato con la solita discrezione, vien da dire, lasciando tracce incancellabili, tanto che si fa fatica. Tanta.

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